venerdì 28 dicembre 2012

Capodanno in mezzo alla Nebbia


Avevo promesso che avrei scritto durante il periodo Praghese, ma alla fine ero troppo impegnato a non ricordarmi cosa fosse successo la notte prima, per poter scrivere qualcosa di sensato. Sappiate che sono sopravvissuto.

E ora mi ritrovo di nuovo in Italia, dove ho passato il Natale, e dove passerò il tanto temuto Capodanno. Dopo Salerno, Lisbona e Copenhagen, stavolta tocca a Rovigo.


Il rito del Capodanno nelle lande desolate e annebbiate della provincia inizia quando uno della compagnia inizia a farfugliare qualcosa nella lingua del posto, conosciuta solo dai residenti: un qualcosa che assomiglia, in italiano, al classico "cosa facciamo per Capodanno?".

Un primo approccio alla risposta è dettato da quelli che sembrano essere i 5 stadi della separazione:

1. Negazione: "Ma va la, cosa ti preoccupi adesso? Mancano ancora 20 giorni, c'è tutto il tempo per decidere!"

2. Rabbia: "*azz*, fioi, ve l'avevo detto che ci dobbiamo organizzare! Ormai i ristoranti saranno già pieni e finiremo per programmare tutto all'ultimo, finire in una festa dove non conosciamo nessuno e andare a letto dopo i fuochi d'artificio"

3. Patteggiamento: "Ripensandoci, siamo ancora in tempo per fare qualcosa di sensato, non tutto è perduto. Ho sentito di tanta altra gente che non ha fatto niente"

4. Depressione: "Possiamo fare quello che volete, tanto alla fine si sa, Capodanno fa schifo, non c'è niente da festeggiare, solo un altro anno di merda che arriva, non portando niente di nuovo se non nuove sfighe"

5. Accettazione: "Va ben, un altro Capodanno è stato organizzato, vedremo che bella cagata ne uscirà"

Una volta che il Capodanno è organizzato, di solito prende tre direzioni prettamente identiche:
- Cenone con gli amici + Brindisi
- Cenone con gli amici + Brindisi + Festa con amici
- Cenone con gli amici + Brindisi + Discoteca

Visto che tutti e tre alla fine assumono le sembianze di mega orgioni senza senso pieni di gente che limona, gente che vomita e gente che guarda, andiamo a descrivere l'ambiente tipico di una festa di Capodanno nella provincia di Rovigo.

La gente
Il 97% dei "polesani" (così sono chiamati gli abitanti del luogo) è, è stato, o diventerà un dj. La musica tamarra scorre nelle vene di queste persone, abituate alle bestemmie e al motorino taroccato fin dalla tenera età. Molte di queste persone poi continuano a seguire questo status quo fino all'età di trent'anni, dimenticando che esistono cose importanti come saper parlare l'italiano, realizzare i propri sogni, vivere in maniera civile.
Il restante 3% degli abitanti della provincia ha una laurea, ma principalmente non sa cosa farne, tanto che la appende al muro in camera sua e inizia la carriera nell'azienda agricola di famiglia come tuttofare.

Lo stile
Il polesano medio tenta in tutti i modi possibili di essere alla moda, risultando sempre più simile ad un tortino di riso con i canditi. E il discorso vale sia per lui, che per lei. Lampade, ombretto, rossetto, taglio all'ultimo grido, vestitini, pantaloni attillati, ingombranti cardigan di lana, camice D&G e giacche improponibili regnano sulla pista da ballo durante una festa di Capodanno. 
C'è buona probabilità di incontrare anche personaggi adornati di collanine e gioielli d'oro, ben in vista grazie alla canottiera pagata a tre cifre che, orrenda, viene messa in mostra orgogliosamente.
Ognuno, nel proprio intimo porta qualcosa di rosso, perché dicono porti bene: queste sono terre in cui la scaramanzia e altre credenze superstiziose regnano sovrane.

Il brindisi
Il momento centrale della serata, avviene nella più modesta sobrietà. Scherzavo. La gente non brinda, fa a botte. Spintoni, bestemmie, baci e abbracci si confondono, e molto spesso ci si ritrova a fare auguri ad una persona che nemmeno conosci. I 5 minuti dopo la mezzanotte il 90% degli invitati si attacca al telefono per comunicare la propria gioia all'esterno del locale, ma in realtà si attacca al telefono imprecando l'Altissimo che non c'è ricezione o che, guarda caso, le linee sono tutte intasate.

La Conclusione
Dopo un paio d'ore di "su le mani", "e siamo noi e siamo noi" il cosiddetto popolo della notte che di popolo ha ben poco inizia il lungo processo di sonnolenza che lo porterà al letargo. I primi ubriachi iniziano ad addormentarsi sui divanetti, altri troppo ubriachi si addormentano avvinghiati al cesso. Le donne, deluse dai comportamenti primitivi degli uomini presenti si annoiano e chiedono agli schiavetti di turno di essere accompagnate a casa. Mentre i ragazzi che sono rimasti appoggiati tutta la sera al bancone del bar, sorridendo a ogni ragazza, andranno a casa felici, a scrivere sui social "che mega seratona".

Questo di film horror ha ben poco, anche se è uno scenario in cui un thriller sociale si adatterebbe bene.

Alla prossima,

Gian



P.S. Ogni dialogo riportato, realmente accaduto o immaginato, è stato tradotto letteralmente dalla lingua del posto in Italiano.

lunedì 10 settembre 2012

Pensieri di Settembre

"Lo so, è uno schifo. Ma il fatto è: tu l’ami, puoi aspettare. Ricordi quando avete deciso di provare ad andare avanti, anche se ci sarebbe stato un oceano nel mezzo? Bene, pensa a quel momento. Pensaci ancora. Ancora. Ancora. E ricordati perché avete deciso di volerlo. Già sapevi a volte sarebbe stato uno schifo, sapevi che ti saresti chiesto “perché lo sto facendo”, ma ti devi ricordare che l’hai voluto. In questa situazione, noi siamo gli uomini. Non c’è tempo per spaventarsi. Le ragazze possono spaventarsi, ma noi non ne siamo nella posizione. Ogni volta in cui ti sentirai depresso, lunatico, qualsiasi altra cosa, parla. Semplicemente parla. Ad un amico, ad un parente, a qualcuno che non hai mai visto prima. Aiuta, un sacco. Questo è quello che cerco di fare, perché non ci è consentito dare di matto.

Lei è una ragazza fortunata."

(cit.)

sabato 25 agosto 2012

Rotta per Stimoli Town


In questo ultimo periodo sono stato assente.

Sia dal blog, che dal resto del Mondo. 

Le mie giornate tipo sono state praticamente scandite dalla sveglia e dai pasti, e intervallate di telefilm. Qualche giorno in spiaggia, qualche giorno in montagna, non sono servite a non farmi pensare, e una volta tornato qui il mondo mi è ricaduto addosso.

Perché nonostante sia casa mia, non ci sono più stimoli. Il mettermi in gioco qui sarebbe controproducente. Passare tanto tempo lontano da casa ti fa cambiare. E quando torni e non ti ricordi nemmeno le strade della tua città, allora capisci che non è più il posto per te.

Invece di trovare qualcosa da fare, la piattezza della vita di questa città mi ha imbrigliato e sono finito suo schiavo, nel malessere generale provocato dal caldo e dalla crisi. Rialzarmi ora e qui sembra durissimo, come se dei macigni mi tenessero ancorato a questa scrivania, o al cruciverba, compagno inseparabile della mia estate.

Niente da fare se non guardare il giardino, portare a spasso i cani, sentire mentre la squadra di calcio si allena. La televisione non va (grazie digitale terrestre) e la connessione ad internet è scarsa.

Sono sicuro che se qualcuno venisse qui troverebbe dei vantaggi, ma io so che pur sforzandomi, la soluzione al mio problema sarebbe sempre quella: partire.

Partire per riacquistare serenità, convinzione e stimoli. Non per cattiveria, non perchè odi stare qui, ma proprio perchè mi manca la motivazione. E mi manca la mia vita, quella da studente impegnato che, purtroppo, posso fare solo nove mesi all'anno.

Mi manca l'amore, bello e carnale, che mi da forza tutti i giorni. E come posso fare a tenerlo vivo se io stesso sono bloccato?

Il 13 settembre, il biglietto è prenotato. Non mi importa dove vado, so dove voglio andare. Ma so che devo aspettare. Nel frattempo, meglio andare alla ricerca di qualche stimolo, per iniziare a carburare in vista di un inverno che sarà curioso.

venerdì 27 luglio 2012

V.P.V. = Venerdì Portami Via

Cosa mi riporta a scrivere qui dopo quasi un mese, esattamente non lo so. Sarà che non ho nulla da fare, sarà che mi ritrovo nella stessa situazione in cui ero l'anno scorso, sarà che ho finito già la "Settimana Enigmistica" comprata ieri.


Fatto sta che il clima qui a casa si è fatto irrespirabile. A Caronte, Lucifero, Minosse, Circe, Topolino, Dante, Justin Bieber etc. si sono aggiunti i miei genitori, il fatto che non posso muovermi da casa, i miei amici che sono in giro per l'Italia, e la mia piccola, in giro per il mondo.

Fatto sta che ad un mese e mezzo dalla partenza per Praga, io qui non ci resisto più, tiro fuori la valigia e inizio a prepararmi per la partenza. Cosa metto? Cosa porto? 

Di fatto so esattamente cosa portare, sono anni che oramai agli inizi di settembre faccio valige e parto per gli angoli più discutibili d'Europa, la cosa che non mi spiego è la voglia di scappare da questo posto. 

Alla fine ho sempre considerato lo "scappare" una cosa da vili, perchè è sempre la cosa più facile da fare quando le cose precipitano. I sentimenti si offuscano, il collante che tiene insieme il tutto si allenta, e si decide di scappare. Ma cosa diventiamo, se continuiamo a fuggire ogni volta che bisogna tirare fuori gli attributi?

Eremiti, dice qualcuno. Gente solitaria, che non si lega a nessuno per paura di dover cambiare tutto di nuovo. Gente che non riesce a dare una svolta alla propria situazione e si defila, cambia contesto e riparte. Ma non senza lasciarsi alle spalle le cose, che saranno lì, pronte ad uscire ogni volta che si entra in panico.

Fuggire non è mai nobile. Anche se il desiderio è forte, se il tutto sta sciogliendo di fronte a te, bisogna sempre tirare fuori il coraggio di affrontare le cose. I fatti. E lottare. Non perchè uno è mona e resta lì per farsi del male. Ma lo fa in nome di un sentimento che c'era, che c'è ancora ed è stato accantonato.

Le difficoltà si fronteggiano sempre, e se a farlo si è in di più, allora tutto può essere salvato, il sentimento non sarà distrutto e si potrà ripartire.



La verità è che a parole sono tutti bravi. Molti di noi se la fanno sotto, una volta arrivati lì. 

Ma forse è meglio non pensarci, e iniziare ad agire, cercare di sistemare le cose, pur quanto difficili siano. Io son cresciuto con questa mentalità. Da giocatore di rugby mi hanno sempre insegnato a pensare e a non tirare mai indietro la testa, sempre guardare in faccia l'avversario, e fargli sentire il più forte dolore al primo impatto. Se metti a segno il primo colpo, il tuo opponente ti lascerà in pace per il resto della partita. Perchè prende paura.

Non siamo noi che dobbiamo aver paura del futuro, ma il futuro dovrebbe aver paura di noi.


lunedì 2 luglio 2012

Grazie lo stesso, Italia!

In questo blog non ho mai trattato di calcio. Da buon interista, preferisco evitare l'argomento fino a quando si vincerà di nuovo qualcosa. Con gli juventini spesso non si può parlare visto che vivono nell'incubo di Calciopoli e nel vittimismo che ne è derivato; i milanisti sono più amichevoli, cugini, e molto spesso qualcosa di utile salta fuori.

Ma oggi l'attenzione non va a quanto la difesa della Juve, che aveva tenuto in alto l'onore della Nazionale, abbia fatto cilecca ieri; non va a quanto stanco fosse Cassano; oggi voglio dire di quanto è importante il gruppo, quando lo sport arriva a certi livelli.

La Spagna non aveva nulla più di noi. Due tipi di gioco diversi, impostati sul possesso del pallone e passaggi profondi, preferiti ai lanci lunghi a cercare le punte. Le premesse alla partita promettevano bene, ma quello che era differente era lo spirito del gruppo. Pur di non far giocare un giocatore non in forma come Torres, Del Bosque si era inventato Fabregas unica punta; pur di far giocare un giocatore non in forma come Chiellini, si è rinunciato a chi in forma dimostrava di esserlo, come Balzaretti.

Io stimo Chiellini, e seppure sia sopravvalutato è pur sempre uno dei difensori più forti e rocciosi dell'Italia in questo periodo. Ma la mentalità da "grande" giocatore avrebbe dovuto far si che il Giorgione nazionale riflettesse, e lasciasse il posto a chi era più in forma. Avremmo risparmiato il primo gol, una sostituzione dopo 20 minuti, e ci saremmo risparmiati il fatto di rimanere in 10 per mezz'ora, avendo ancora cambi a disposizione.

Detto ciò, non punto il dito contro nessuno, con la Spagna si sapeva che era dura, anche se eravamo arrivati con troppo ottimismo alla Finale di Kiev. Tuttavia in questo Europeo abbiamo visto anche altro, una base solida per quella che sarà la squadra che ci rappresenterà alle prossime competizioni: la Confederations Cup prima, e il Mondiale in Brasile poi.

Complimenti al solido Buffon, a Barzagli e Balzaretti, a De Rossi, Pirlo e Marchisio, solida impalcatura del centrocampo. Bene Cassano e Di Natale, anche se l'ultimo poco sfruttato. Da rivedere Bonucci, Abate e Giovinco, forse non ancora pronti per una competizione dura e di alto livello. In bocca al lupo a tutti quelli che vogliono essere riconfermati, e a quelli che vogliono riconquistare i colori azzurri, come Pazzini e Ranocchia.

Ma la soddisfazione più grande è stata vedere Balotelli correre, sudare, urlare, segnare e piangere. Segnali che questo ragazzo vuole maturare, vuole diventare qualcuno, e vuole far parte della storia della Nazionale, seppure ci sia già entrato con la meravigliosa doppietta alla Germania.

E quindi, ancora una volta, grazie ragazzi. Che la strada per il Brasile inizi qui, da un secondo posto Europeo, che però sa di vittoria.


lunedì 25 giugno 2012

Non mi starà mai tutto in valigia

Eccomi ancora una volta a fare la valigia.


Questa volta per non tornare. Da qualche anno a questa parte ormai, sono abituato.

Si viene, si va, e ci si porta dietro cose.

"Cosa me ne faccio di queste bottiglie di birra fregate al bar quella sera? - A cosa mi servono i fogli di appunti che ho comodamente salvati nel computer? - Cosa me ne faccio di questa foto stampata e attaccata al muro, un po' rovinata e che ho comunque nel computer?"



Vestiti ormai vecchi, calzini bucati, scarpe consumate, tutto quello che non è necessario deve essere lasciato, per sempre, in questa terra di vichinghi dove nemmeno a fine giugno splende il sole.

Cercando di vendere qualcosa per pagarmi il ritorno a casa, ho pensato a quanto tenessi a quelle cose, ma più che all'oggetto fisico in se, a tutto quello che mi avevano dato, a tutto quello che mi avevano fatto provare e mi avevano significato durante questo viaggio in Danimarca.

Ricordi legati a persone che non saranno con me fisicamente, che ho deciso di lasciare, ma che mi porterò per sempre dietro.
Questo corto post per dire che la Danimarca per me ha significato molto. Un anno in cui ho dimostrato a me stesso di potercela fare con una manciata di corone e tanto ottimismo, quell'ottimismo che mi ha portato a guadagnare qui molto di più di quello che avrei pensato alla partenza.

Lo stesso ottimismo che mi farà andare avanti. Perché non mi starà mai tutto dentro in valigia, ma tutto rimarrà dentro di me.

mercoledì 13 giugno 2012

Funghetti Allucinogeni

Mi trovavo a pescare un biscotto danese dal mio caffellatte mentre guardavo Olanda - Germania (non chiedetemi come la mia cena potesse essere a base di biscotti burrosi e caffellatte) quando sono stato suggestionato. Forse il burro, forse qualcosa nello zucchero, non lo so, ho iniziato a pensare e ad elaborare nuove teorie. Molte persone riconoscono in questo un fatto chiamato "trip mentale" o "allucinazione da funghi", ma io, in tutto questo pensare, c'ho trovato qualcosa di vagamente affascinante.

Tra queste teorie la migliore selezionata da me (e da una giuria di esperti) è stata quella di accoppiare animali di specie diverse, per creare nuovi fenotipi assimilabili a quelli dei Pokemon. Poi ho dovuto abbandonare questo progetto perché il cane della coinquilina greca non ci stava ad accoppiarsi con una tartaruga ritagliata dalla carta del giornale. Per cui sono finito a pensare al senso della vita. Classico, no?

Che senso ha la vita non ha neanche gusto il chiederselo, visto che ruoteremmo intorno ad argomenti e temi tuttora irrisolti da millemila anni, al massimo ci si può fermare, fare un respiro profondo e chiedersi che senso ha la propria vita. Molto spesso infatti ci si preoccupa della vita degli altri, di piacere agli altri, di non offendere gli altri, ma mai si presta abbastanza attenzione a quello che si vuole per se stessi.


Sarò pieno di me stesso, ma nella vita più volte ho deciso di prendere una strada che fosse mia, e non condivisa dalla "ratio" della comodità. Per "ratio" della comodità intendo quel fatto per cui le persone scelgono molto spesso la decisione più abbordabile invece di ricercare la migliore, quella che si desidera di più. Non dico che non mi piacerebbe trovarmi in una posizione di comodo, ma dico solo che la vita è troppo breve per accomodarsi e guardare il resto passarci davanti. Per quello che a volte si deve agire d'impulso.


Come quando ho deciso di studiare Economia. 

"Economia è sinonimo di mediocrità. Anni di studio approssimativo per sfornare milioni di cassieri di banca che si differenziano da quelli del supermercato solo perché non portano il grembiule. Lo studente di economia è il meno dotato in assoluto, non ha interessi se non organizzare aperitivi e aperitivi e aperitivi. Non spiegandosi nemmeno lui come sia in grado di passare gli esami, si sente vestito di un ruolo importante quando al bar si parla della crisi economica o di altre puttanate simili. In questo contesto prende la parola spiegando agli astanti che lo spread è un titolo azionario e che il debito pubblico italiano è colpa dei comunisti. Finirà in banca e sarà rispettato da tutte le mamme del mondo, che non si stancheranno mai di ripetere ai propri figli «Hai visto Giorgio? Che l’era un ignorante e con economia le finìo in banca? Altro che ti e la to fisica teorica!» (cit.)


Ho trovato questo trafiletto sfogliando il web, e ancora una volta mi sono stupito di come gli stereotipi ci minimizzino. Perchè dovrebbero fare da filo conduttore e invece ne tritano il concetto, ne sottolineano il più piccolo dettaglio e lo trasformano nella peggior etichetta che tu possa avere. 

Perchè alla fine tutto si riduce ad un'etichetta. Tu e lei siete fidanzati, Voi due siete sposati, l'altro ha una relazione complicata con l'altroancora e così via. E la gente non ha capito niente di te se quello che le importa è l'etichetta che compare sulla tua fronte, quando pensi di voler dimostrare chi sei, mentre ci si attende che tu dimostri quello che vogliono vedere loro. 

Quando dovresti fare ciò che ti senti di fare.



Quando dovrebbero essere le emozioni a parlare.



E non i funghetti allucinogeni.



Gianbellan

sabato 5 maggio 2012

Oggi mi sento Charlie Brown

“Good ol’ Charlie Brown” is the lovable loser in the zig-zag t-shirt—the kid who never gives up (even though he almost never wins). He manages the world’s worst baseball team…yet shows up for every game. He can’t muster the courage to talk to the Little Red-Haired girl…yet keeps hoping. Even though he gets grief from his friends, his kite-eating tree, even his own dog, Charlie Brown remains the stalwart Hero. (cit. Charles Schultz)

Oggi mi sento proprio come Charlie Brown. Un Amabile Sfigato. 

A parte il fatto di riuscire a parlare con le ragazze. Quello mi riesce bene. Sarà perché ho la lingua lunga, non riesco a tacere, sono cattivo e acido, o sarà perché ho già trovato la mia "Little Red-Haired girl" (nel mio caso Blond-Haired).

Partiamo dunque con la mia giornata sfigata di oggi.

1. ore 11.30 - Prendo la bici, faccio un metro, e cade la catena.
2. ore 12.03 - Dovendo essere ad un meeting pre-partita alle 12 accelero, ma a metà strada cade la catena.
3. ore 12.20 - Arrivo al meeting, discussione persa per lavarmi il grasso della catena dalle mani, riscaldamento, e inizia la partita.
4. ore 14.13 - 13 minuti ho giocato. Una scarpa rotta. Un ginocchio in faccia. Una spalla distrutta. Sostituito
5. ore 16.45 - Spendo i rimanenti 67 minuti a guardare. Odio. Almeno abbiamo vinto.
6. ore 17.20 - Torno a casa, e scopro che pure la Rugby Rovigo è stata eliminata all'ultimo minuto di recupero.
7. ore 18.30 - Mi preparo per un barbecue. Spalla dolorante. Non riesco ad usare un braccio, mi sporco di Nutella. Cambio maglia.
8. ore 19.00 - Esco, trovo la bici con il copertone bucato. Bene.
9. ore 19.05 - Vado a prendere l'autobus. A metà strada la spalla mi fa ancora troppo male. Scendo. Vado all'ospedale.
10. ore 21.10 - Una settimana di riposo completo. Torno a casa, convinto che ci sia il Derby. Invece c'è Roma-Catania.



Certe giornate come queste vorresti non succedessero mai. Ma capitano. Shit happens. Ma è questo che riesco sempre ad apprezzare di me. Il fatto che si continua ad andare avanti, a testa alta. Perché mi farebbe più male fermarmi, ed essere travolto dai fatti.

Preferisco farne parte.

Non voglio cadere in un universo fatto di "what if..."

mercoledì 25 aprile 2012

Liberazione Oggi

Io non c'ero. Non so cosa sia successo. Certo, i libri di storia possono averci raccontato, i vari film possono averci mostrato immagini simili, ma noi non c'eravamo.

I miei nonni erano ancora piccoli, ricordano solo la fame, le lotte per un pezzo di polenta, il freddo del granaio che li teneva nascosti dai fascisti, il comunicare a gesti con i russi che tenevano nascosti. 

Allora la "Liberazione" era un sogno, un sogno fatto in mondovisione, con sempre più persone che nelle poche ore di sonno prima di tornare a nascondersi sognava di tornare a casa, di rivedere gli amici, di uscire e urlare la propria voce alle campagne deserte.
Indipendentemente dalle idee politiche, dagli interessi degli schieramenti e dalle posizioni assunte, quello che la gente voleva esprimere era la stanchezza per un conflitto che non sentiva suo, che era diventato logorante, e stava prosciugando ogni sentimento se non quello della rabbia.
Rabbia o Ribellione? Spesso l'una guida l'altra, ma non devono mai essere confuse. La rabbia non deve essere mai incentivo alla cattiveria, la ribellione è giusta se fondata su solidi principi, sulla liberazione dall'oppressione.

Ecco che, se in questi giorni difficili per il popolo italiano, i sentimenti di rabbia verso la classe dirigente e di depressione per la difficoltà con cui si arriva a fine mese stanno sempre più prendendo piede in tutti noi, una domanda dobbiamo farci:
"Siamo capaci di Resistere?"

Quanto saremo in grado di sopportare, e a testa china fare quello che ci viene detto?

Quanto siamo disposti a concedere pur di aspettare un futuro migliore per noi e le nostre future generazioni?

Quante notti ancora chiuderemo gli occhi sperando che il domani passi in fretta per tornare di nuovo a sognare?

"Tutti hanno sognato un mondo diverso, un mondo di libertà, un mondo di giustizia, un mondo di fratellanza e serenità"

Per chi ha 80 anni ora, per chi non c'è più, per chi ha vissuto quei momenti difficili, questo era il sogno, e purtroppo ora, nel 2012, 67 anni dopo la Liberazione, ancora nulla è successo, niente è cambiato, questo mondo non c'è.

E allora riflettiamo, ragioniamo con la nostra testa, e continuiamo la loro lotta, quella di chi si è alzato tutte le mattine della propria vita per lasciarci un futuro migliore.

sabato 21 aprile 2012

Riflessioni su un Soggiorno all'estero Mai iniziato

Non vi ho mai parlato della mia vita a Copenhagen, degli amici con cui esco, delle persone che frequento, di come trascorro i weekend nella capitale Danese. E mi sento in colpa per questo.

Ma vedete, cari lettori, non lo faccio apposta. La verità è che tutta questa strada ti fa crescere interiormente in maniera così profonda che molto spesso si tende a tralasciare quello che c'è attorno, ma ti accorgi poi che sono le persone che hai vicino, che rendono il tutto speciale.

Io per esempio ero un sedentario. Da piccolino non avrei mai voluto lasciare il paesello, bensì avrei voluto fare l'archeologo (ero convinto ci fosse l'Università al paesello), poi il veterinario, l'astronauta, il lattaio, aprire un'edicola solo per avere gli sconti sul Topolino, diventare un pescatore e infine un ingegnere aerospaziale. 

Una volta arrivato a Padova mi sono abituato così bene allo stile di vita cittadino che mai me ne sarei andato da lì. Le lezioni, le passeggiate, i mercoledì universitari, l'animazione in centro, ma sopratutto gli amici mi facevano sentire a casa, sentivo che il legame con la città diventava solido. Poi Milano, prima nei week-end, poi d'estate, ed infine Lisbona.

Meravigliosa la capitale Portoghese, niente da dire, una delle città più belle in cui trascorrere una vita tranquilla di giorno e movimentata fino all'eccesso di notte. La città in cui non è un lusso chiamare un taxi o comprare una bottiglia di Don Perignon in discoteca, la città che non dorme mai, che ti ospita sotto le sue stelle, la città dove il Cristo Rei ti guarda, ti abbraccia e se può ti chiede un goccio di Mojito.

E se non fossi mai venuto a Copenhagen? Se avessi deciso di restare al paesello dopo essermi preso il pezzo di carta dell'Università? Se fossi rimasto ipnotizzato da Lisbona, se avessi deciso di tornare a Padova o ancora se avessi aperto quell'edicola per poter avere gli sconti sul Topolino?

Probabilmente avrei fatto altre esperienze, avrei incontrato altre persone, diverse o uguali nel carattere, avrei trovato altro ad aspettarmi. Ma niente sarebbe stato certo.

La sola certezza è che avrei perso ciò che mi ha portato Copenhagen. Non solo tanto freddo, ma soprattutto tante avventure, tante conversazioni, tante amicizie, ma soprattutto un cambio profondo. 

Non avrei mai conosciuto quel personaggio che è il Fra, da cervello in fuga dall'Italia a cervello in fuga dalla Danimarca, convinto sostenitore della Apple che ha deciso, a quanto pare, di tornare a casa di mammà una volta finito il Master qui.

Non avrei incontrato Attila, l'ungherese pazzo, che oltre ad essersi dimostrato un grande amico (mi ha trovato casa tramite la ragazza che frequentava, la mia attuale coinquilina greca) si sta dimostrando un grande festaiolo e sempre più pervertito.

Non avrei mai passato minuti al telefono cercando di capire dove fosse finito Martino, il mio amico svedese, che a causa di alti concentrati alcolici ogni tanto si perde nei sobborghi di Copenhagen, ed impiega ore prima di arrivare a casa. Una volta siamo quasi finiti in una quasi rissa assieme, un'altra siamo andati a sbattere con la bici addosso una macchina parcheggiata. Cicatrici fisiche, quelle, altroché.


Poi tanti altri studenti provenienti da tutta Europa, come il vecchio islandese Gudjon che ha lo spirito di un bambino, i tanti Norvegesi, i Danesi che ho conosciuto nella squadra di rugby, la mia coinquilina greca e il suo cagnolino.
Tante persone che mi hanno lasciato un segno dentro.

E poi i tanti Italiani qui in Danimarca, Andre in primis, e Alessiya, che un po' ricorda Barbara D'Urso, sarà per via di quell'accento romano, o sarà perché abusa di Uomini&Donne, Pomeriggio5 e simili, ma che avendo vissuto qui per 4 anni mi è sempre stata vicina. 

Ma soprattutto Fintabionda, perché nella vita non sai mai cosa aspettarti, ma ti auguri sempre di incrociare un sorriso come il suo; uno di quelli potenti, che ti raddrizza la giornata.

Ecco come una scelta di vita, presa quando sei ubriaco ("ghahaghgggg, vado a Copenhagen, basta!" semi citazione) ti cambia le carte in tavola. Non è solo il freddo che ti porta questi pensieri, ma la vita. Questa maledetta che ti scombussola ogni 3x2 manco fosse un'offerta del supermercato.

E potrei stare qui tutto il giorno, come in un fumetto della Marvel, a chiedermi "cosa sarebbe successo se.." e scoprire che sicuramente non avrei scritto questo post, non avrei fatto tante cose, non avrei mai provato il caffè danese (non provatelo eh), non avrei mai visto la statua della Sirenetta, mai scoperto come la lingua danese possa esistere ancora nonostante tutto, ma soprattutto scoprirei che adesso mi sarei sentito incompleto.

Come questo cerbiatto, non conoscerei che cosa mi aspetti dietro l'albero.

mercoledì 11 aprile 2012

Tecnologia vs. Solitudine

Non si può più dire esattamente di essere soli. Nessuno è solo. Nessuno può restare solo. Nel vero senso della parola. Viviamo in un mondo fatto sempre più dai social network, e ci passiamo talmente tanto tempo che rischiamo di diventare asociali nei social network. 

Tuttavia, i social hanno cambiato il nostro stile di vita, pure il Trota lo aveva capito (o gliel'avevano fatto notare) e si dimostrano mezzi fondamentali per estendere il network di conoscenze, che potrebbe essere utile anche in campo lavorativo, in un futuro.

Lo dico da iscritto a Twitter, a Facebook, a Google+ e a tanti altri che nemmeno ricordo, so solo che ogni tanto mi arrivano mail di controllo di un profilo che non sapevo di avere. Fatto sta che ormai un amico su Facebook sta diventando un vero e proprio amico reale, anche se hai avuto poco, o limitato, contatto fisico. Ogni persona passa sempre più tempo davanti allo schermo e si integra in un mondo nuovo, fatto di emozioni più e più rarefatte e dove la curiosità la fa da padrona.

La curiosità umana ci spinge sempre più dentro a questo gioco perverso, creando circoli viziosi inimmaginabili. Oggi i classici triangoli amorosi diventano un affare di famiglia, visto che non ci si trova più a discuterne in coppia, ma c'è sempre il terzo incomodo che è troppo curioso per farsi gli affari suoi, l'amico dell'amico, l'amica del cugino, uno che hai aggiunto l'altro giorno e manco conosci, gli ex di turno e forse pure mamme e papà.

Quello che dovrebbe essere il semplice incontro di due persone che vogliono stare bene insieme si trasforma in un cinepanettone intercontinentale, e a suon di equivoci ci rimette sempre la coppia, che si trova troppa pressione dall'esterno, ed esplode. 

Ma la domanda che sorge spontanea è: può la tecnologia interferire, o giocare un ruolo chiave, quando una persona ha bisogno di stare sola? Vuoi per un litigio, per una rottura, o giusto per un giramento di palle, riesce qualcuno a stare effettivamente da solo?

Certe volte invidio gli anni in cui si usava solo il telefono di casa, dove non si avevano notizie di una persona per settimane, prima di ricevere una cartolina, dove non c'era skype e la famiglia la si vedeva effettivamente quando si tornava a casa. Ero piccolo, ma ancora ricordo quei tempi quando il telefono di casa squillava e organizzavamo grandi tornei di calcetto.

Oggi, chi è social dipendente (si connette 2-3 volte al giorno, o pure 1 ma ci resta tutta la giornata) non è mai solo, ma diventa "stalker". Perché la curiosità va aldilà del normale, e si passano le giornate a guardare le foto di persone che non ci interessano minimamente ma ci ricordano l'amico che se n'è andato, la ragazza con cui abbiamo rotto, le persone che ci hanno ferito e per nostra pura perversione continuiamo a seguire.

Ci sono passato pure io, con chi mi lasciò anni or sono, con la ragazza che ho lasciato prima di partire per Lisbona, con la ragazza che ho lasciato prima di arrivare a Copenhagen. Social o no, l'unica cura è sempre il tempo, tempo di riassettare le modalità e continuare la strada che si aveva tralasciato, tempo di maturare e scoprirsi più forte.

E qui i social giocano un ruolo chiave. Perché non siamo mai da soli, e la paura più grande è di non scoprirsi forti abbastanza da riuscire a chiudere una pagina su Facebook. I mesi di oggi diventano anni per noi, ma restano pur sempre giorni, quando si tratta di dimenticare, perché dimenticare non è mai facile. Ma il rischio è di rimanere schiacciati in una dimensione nella quale vorremmo continuare la strada ma non ci riusciamo, perché il passato è li, che commenta, posta video e foto, stringe nuove amicizie e continua la sua strada.

E continuando così si perde ciò che si ha davanti, perché ciò che è dietro ormai è perso (sempre se il destino, non i social network, ci faranno reincontrare).

Oggi si torna a Copenhagen, dove spero anche io di continuare la strada che avevo tracciato con le persone, gli amici e i piacevoli imprevisti che sono capitati.

Vi ses

Gianbellan

giovedì 5 aprile 2012

Io ero tornato per prendere il sole

Tornato da Copenhagen alla Malpensa pensavo di trovare il sole ad aspettarmi, invece c'era il grigio. Caldo, comunque (15 gradi sono una cosa che si può solo immaginare in Danimarca, di questi tempi) ma mi aspettavo molto di più. Soprattutto perché sono attualmente di carnagione color bianco latte, e più di qualcuno mi ha dato il consiglio di prendere un po' di sole.

Ovviamente, una volta arrivato a casa è cominciata la tiritera di parenti e amiche di mia madre (le più scrupolose osservatrici del mio status quo) che hanno iniziato a dire come sono dimagrito, se mi faccio da mangiare, se son bravo a cucinare e se uso il burro. Domande alle quali rispondo alternando cenni e risate, sperando che sta tortura finisca il prima possibile.

Poi la famiglia ti aggiorna su cosa è successo nei mesi in cui eri via. Si parte con un bollettino di guerra che contiene, ahimè, chi ci ha lasciato, chi si è sposato, chi ha avuto figli e un riassunto di 45 minuti sui nuovi episodi di Gossip Girl. Poi si viene alla politica, al fatto che ci son troppe tasse da pagare e che serviranno i miracoli per arrivare a fine mese, ma son discorsi ormai triti e ritriti, che alle mie orecchie suonano vuoti.

Poi gli amici. Rivederli ci sta sempre, ma accorgerti di come non sono cambiati, mentre tu l'hai fatto profondamente, lascia sempre un po' di delusione. I discorsi son sempre quelli, i posti da vedere sempre gli stessi, mai niente di nuovo, mai niente di diverso.

Quindi alterno le mie giornate tra film, facebook e twitter, aspettando un sole che deve ancora uscire, perchè io voglio scaldarmi ed abbronzarmi. Perchè ne ho bisogno.

Intanto, Buona Pasqua a tutti,

Abraço

Gianbellan

lunedì 2 aprile 2012

Cosa metto in valigia?

Poi dici che non esistono più le mezze stagioni.


Una settimana passata fuori dal bar dell'università a bere caffè e prendere il sole, spesso disturbato dal vento freddo del Nord, ma con tutta la voglia di dormire che si porta dietro la primavera. Fino a venerdì, quando il nostro progetto di fare un barbecue all'aperto finisce perché l'inverno decide di tornare. Freddo, vento, pioggia, il tutto coronato da una nevicata fitta questa mattina, giusto per fare le cose per bene.

Bel pesce d'aprile, gran giocherelloni gli dei lassù, fate voi. Fatto sta che il progetto di arrostire hamburger, costine, pancetta e salsicce a darci dentro come degli animali da combattimento è saltato. Alla fine tutto va così. Non puoi programmare una cosa nemmeno con un giorno d'anticipo, di questi tempi.

No, perché il destino (o qualcosa di simile) si mette sempre in mezzo a fare questi tiri mancini assurdi, e mentre tu passeggi mangiando il tuo gelato e godendoti il panorama arriva da dietro qualcuno e 'pam', ti ritrovi a guardare il tuo gelato al pistacchio e cioccolato spiaccicato sull'asfalto. 

In questo momento sto preparando la valigia, sto cercando di portare a casa più cose invernali possibili, così posso portare su qualche costume da bagno o qualche maglietta a maniche corte in più. Ma poi penso: "e se  per quando ritorno (tra 10 giorni) l'inverno non se n'è ancora andato?" Allora mi ammalerò. E starò a letto (il che proprio un male non è).

Quindi sorge spontaneo decidere di lasciare qualcosa a Copenhagen. Qualche maglione, qualche felpa, anche qualche pensiero. Tra una scarpa e l'altra in valigia non mi ci sta più molto. Devo fare attenzione a cosa mi serve veramente, a cosa posso rinunciare, cosa posso lasciare a casa e cosa, invece, sento di dover portarmi via.

Riflettendo, spesso mi accorgo di come parecchie situazioni assomiglino alla vita reale. Ma poi capisco che queste sono la vita reale. Una vita che non è fatta di se e di ma. Ma solo di azioni. Quelle che decidiamo noi. E le più importanti sono quelle che facciamo perché lo sentiamo.

Per cui lascio qua qualche maglioncino e mi porto via i pantaloncini. Perché mi devo abbronzare.

Dalla incerta (meteorologicamente) Copenhagen,

Vi ses

Gianbellan

domenica 4 marzo 2012

Fottuto vento, fottuti posti al riparo


Quando pedali per Copenhagen, con la bicicletta scassata, c'è un vento fottuto che ti sbatte da tutte le parti. Ti fa barcollare, ti rende difficile pedalare. Senti che vorresti scendere dalla bici e proseguire a piedi, da quanto difficile diventa continuare con la bici. 

Alle volte, il fottutissimo vento ti arriva in faccia quando c'è qualcosa di bello, di cui fare esperienza da vedere. Nei punti più belli della città, sui laghi, sui vecchi palazzi, posti in cui ti vorresti girare, dare un'occhiata, scoprire a fondo. Ma che per un modo o nell'altro, per colpa di questo fottutissimo vento non riesci a fare.


Ci sono poi quelle vie che ti riparano dal vento. Quelle stradine che imbocchi per caso, di cui non ricordi la storia, non ricordi la particolarità, ma loro sono lì e ti riparano dal vento, fanno in modo che tu riprenda il fiato, ricominci a pedalare, e ti prepari ad affrontare quello che sarà il prossimo colpo di vento.

Eppure quei muri sono lì da sempre o da tempo immemore. Loro se ne stanno lì a farsi i cazzi degli altri e nessuno li considera. Magari ci fa la pipì in qualche angolo. Ma loro sono lì, non si muovono, hanno visto più di altri e non si interessano di loro stessi. Si preoccupano di chi cerca riparo.

Sono quelli di cui ci possiamo fidare, quei passaggi nascosti che trasudano di coppiette passate a baciarsi, nonne che portavano a casa il pane, scolaresche a passeggio, e che ci regalano momenti di felicità, al riparo da tutto e da tutti, in pace con noi stessi.

Leggevo, citando @twittopolis, che "mentre cerchiamo il partner perfetto, spesso, tralasciamo le persone con le quali potremmo trascorrere una vita felice". 

E la vita a Copenhagen riflette questo. Cerchiamo di fermarci a godere del panorama perfetto e veniamo colpiti dal vento, che ci distrae e ci fa perdere molto spesso l'equilibrio, mentre non diamo importanza a quei posti che nessuno conosce ma che ci proteggono dal vento e ci danno sicurezza, ci fanno felici e più rilassati.

E dai quali angoli possiamo godere di un panorama anche migliore.

giovedì 1 marzo 2012

Attento Al Lupo

Rieccomi dopo due settimane di astinenza da questa scrittura sgraziata e che funziona perfettamente da sfogo. Le mie (dis)avventure le potete seguire comodamente su Twitter. 

Febbraio per me è sempre stato un mese di profonde emozioni, sia belle che brutte. Un mese che a volte non dice niente, e non si fa notare nemmeno quando è bisestile. L'anno scorso era la crisi post Erasmus, che mi ha fatto passare un mese a rimbecillirmi di foto e video sui 6 mesi trascorsi a Lisbona, quest'anno un febbraio partito bene, piano piano, sottovoce, e finito in un vortice di deliri soggettivi e svolte demenziali che bene o male segnano il mio imperturbabile percorso verso la maturità.

Vivendo, viaggiando, imparando a conoscere diverse culture capisci come sono le persone e fai tesoro di quel bagaglio che i viaggiatori si vantano di aver accumulato.

CAZZATE.

Dalle persone si impara solo una cosa. Che le persone non cambiano. Ad esempio. Io sono uno stronzo. L'ho sempre detto, me l'han sempre detto. L'ho dimostrato. Eppure c'è chi crede che sotto sotto ci sia un tenerone. Si, c'è. Ma non aspettatevi che venga fuori immediatamente, sennò il bello dov'è?

E mi sono trovato a scappare diverse volte. Prima dall'Italia. Poi dal Portogallo. Poi nuovamente dall'Italia. E perchè, improvvisamente, dopo un periodo di tranquillità (?) a Copenhagen, sento il bisogno di cambiare di nuovo vita?

Ma perchè è sempre il momento buono per cambiare (citando gli Smiths). Non solo per scappare dai problemi. Anche per abbracciarli, farli tuoi, affrontarli e riuscire vincitore. In questo periodo della mia vita non sono mai stato più focalizzato su quello che voglio. Con tutti i pensieri che ho in testa (credetemi, son pesanti) pensavo di fallire facilmente il colloquio che avevo stamattina, invece ho fatto ancora meglio della prima intervista, e ho buone chance di passare. Almeno ho dato prova a me stesso di saper eccellere sotto pressione.

E se per ottenere quello che voglio devo cambiare vita, cambiare compagnia, cambiare quartiere, ben venga. Perché è pur sempre quello che voglio, e grazie a questo stato di grazia che rafforza la mia corazza, come direbbero ancora una volta gli Smiths "era da tanto tempo che non sognavo". Per cui, per una volta nella mia vita è tempo che mi prenda quello che mi spetta.

Devo solo stare "attento al lupo" (Ciao Lucio)

Vi Ses

Gianbellan

giovedì 16 febbraio 2012

Cadute e Risalite che diventano Routine.


La Belen Rodriguez si veste come Borat. Ovviamente non dispiace a nessuno, ma a questo punto, Italiani, chiedetevi se ne valga la pena di continuare pagare il Canone RAI, o se si farebbe mica prima a comprarsi l'account su YouPorn.

Oggi il mio livello di stanchezza si riflette tutto sull'acidità che sale, e che va a sbatterti in faccia, come quando fermi una porta girevole e quello dietro ci lascia naso e denti. Forse ha ragione chi dice che a volte bisognerebbe lasciare le palle girare per bene, in modo che l'effetto elica scateni un uragano e si porti via tutto quello che ti da fastidio. 


In queste giornate uggiose la temperatura è tornata a salire, e dai livelli ampiamente sotto zero dell'ultima settimana l'inverno sembra farsi strada verso la fine. Ovviamente per caldo intendo 3 gradi, ma qui ci si deve accontentare anche di questo, dopotutto è un miglioramento.

Miglioramenti che vanno e vengono e scuotono la tua giornata, facendoti passare da livelli paradisiaci di estasi a momenti in cui puoi solo scuotere le spalle e chiederti dove hai sbagliato. 
Alti e bassi, come quelli dell'Inter. Vincere ininterrottamente per poi fermarti di colpo, capire che sei vulnerabile e bloccarti. Come la rosea prospettiva sull'Europa portata da Monti, subito ricacciata ad essere più color rosso grazie alla situazione disperata della Grecia. Un blocco seguito da una caduta in picchiata.

Ma che può essere allo stesso tempo base per una risalita, per una ripartenza. Fermarsi di colpo, pensare, mettere il cervello al lavoro, e trovare il modo di risalire.
La vita funziona come la variazione dello spread. Sale. Scende. Sale un po' meno. Scende troppo. Risale di botto. Nessuno può prevedere quello che succederà domani. Ma possiamo vedere troppo bene quello che succede oggi, e basare il nostro futuro su questo.



Basare il futuro su quello che succede oggi? Di solito gli economisti fanno così, ed è forse per questo che stiamo così tanto inguaiati che neanche la mamma della Perpetua sa. Il passato è sempre qualcosa che ci condiziona, ma che possiamo benissimo lasciarci indietro. Lo porteremo sempre con noi. Nel nostro bagaglio.

E pian piano accantoneremo tutti i nostri i bagagli vicino al muro, e perchè no, ci costruiamo una scala. Una valigia vicina all'altra, ognuna con i nostri ricordi, le persone passate, le esperienze, che ti aiutano ad arrivare sempre più vicino al tuo obiettivo. Che di certo non puoi preimpostare. Ma che di certo puoi incontrare durante la scalata.

Questo per dire tutto e non dire niente. Dalla Danimarca tutto ok, la vita continua tra studio matto, lavoro duro, la gente che pattina sui laghi porta allegria. Sono finalmente arrivati i risultati dell'IQ test per la Maersk e a quanto pare ho fatto bene visto che mi hanno chiamato per un altro colloquio in un altro dipartimento stavolta! E domani ho un'intervista per un'associazione di consulting presso la Business School. Insomma mi tengo impegnato per non pensare troppo. 

Pensare a tante di quelle cose che fanno schizzare il mio umore come i prezzi della benzina. E ricominciare il discorso sul sali-scendi che ormai sta diventando routine giornaliera.

sabato 11 febbraio 2012

Nevica fuori, Brucia dentro

Un po' di tempo per cercare un piccolo spazio di giornata solo per me. Il tempo. E' tutto quello che ci serve a volte, per recuperare dalle delusioni d'amore, per far cuocere una pasta, per arrivare in fondo ad un traguardo. E alle volte quel bastardo si mette contro di noi, facendoci correre più del previsto, mettendoci di fronte ad ostacoli da scavalcare per non perdere il tram alla fermata.

La fitta nevicata che ha avvolto di bianco l'Europa c'ha raffreddato, e ci ha fatti barricare in casa, vicini al termosifone, con giornate a base di tisane bollenti e coperte riscaldate, ad aspettare che la tormenta finisse. Chi preoccupato per chi era fuori al freddo a lavorare per noi, chi preoccupato per la propria sorte, visto che a Roma "nevica ogni morte di Papa". Tuttavia stare davanti alla finestra c'ha fatto pensare a tutti, c'ha fatto evadere, facendoci confondere con gli stessi fiocchi di neve che si posavano sull'asfalto.

Io mi trovavo in giro, quando tutto è iniziato. Uscito da un bar, la neve cadeva, scendeva inesorabilmente, e non so con quali parole descrivere quel momento, ma mi sentivo felice. Felice per qualcosa che finalmente era arrivato, e che stavamo aspettando da tempo. La neve non solo crea disagi, ma lascia quel misto di buonumore e assuefazione che riesce a perdurare nel tempo. 

Ancora il tempo, questo figlio di puttana, si sveglia un sabato e ti mette un cronometro davanti. E tu sai che devi correre per non perdere il tram, e arrivare in ritardo all'appuntamento che è la vita. Il tempo che si porta via le cose, si porta via i tuoi cari, ma che non potrà mai prendersi ciò che sei, ciò che vuoi essere, e ciò per cui credi fermamente valga la pena di lottare. Anche se per farlo sei costretto a brancolare nel buio.


E ci si ritrova davanti ai laghi, a fissare quella distesa bianca dove qualche giorno prima nuotavano i cigni. La tormenta è finita, il vento freddo e il gelo hanno lasciato il segno, ma ciò che ha portato la neve non se n'è andato, brucia forte dentro, e l'unica cosa da fare è cercare la ragione per cui ancora ti scalda il cuore fino all'ustione.

In mezzo a tutta quella neve ci siamo noi, bisogna solo trovare il nostro fiocco, e vedere a cosa è rimasto impigliato, per capire dove cercare la ragione per cui dobbiamo lottare.


Ragione per cui non mollare.

Ragione per cui siamo anche pronti a tirarci indietro.

Ragione per la quale ci dimostriamo uomini.


Queste riflessioni che la neve porta, mi fanno assomigliare a Fabio Volo, quindi se voi adesso volete andarvi a tagliare le vene posso capirvi benissimo. Ma ogni tanto fa bene un attimo di pausa per pensare a queste cose, ci da l'occasione per vedere dove siamo arrivati, e vedere quanto possiamo ancora migliorare.

Dalla ridente Copenhagen,



Vi ses.

Gianbellan

martedì 31 gennaio 2012

Nuova settimana, Nuova Playlist

In questa ultima settimana ne abbiamo sentite di tutti i colori. Ora, dopo un corri corri, trovo il tempo di riposarmi, mettermi al computer, trovare due ore per me, e ascoltarmi l'ultima playlist messa su con la stessa fretta con cui ho pranzato oggi.

Gli elementi del nuovo governo se ne escono fuori. E' la volta di Martone. E sapete che vi dico? 
Io gli do ragione.
Ammetto che essere studente lavoratore allo stesso tempo, specialmente in Italia, porta a dei ritardi considerevoli nella tabella di marcia di un giovane. Ma sono anche conscio del fatto che se uno è iscritto all'Università in qualità di "studente-lavoratore", nel suo libretto non può essere segnato alcun ritardo, ne deve venir riscontrato un numero minimo di crediti da ottenere per procedere negli anni di studio. 
Inoltre sono convinto che il vice Ministro ce l'avesse con tutti quei giovani che si iscrivono all'Università per paura del futuro, perchè non hanno voglia di lavorare, o semplicemente perchè preferiscono fare la vita del mantenuto. Iscriversi, fare uno, due, al massimo tre esami all'anno, aggregarsi a cortei, giocare alla Play Station in aula studio, o farsi di canne il mercoledì sera. Questi sono gli "Sfigati", e non lo dico io perchè mi son laureato in tre anni esatti (e non sono un genio), ma lo dicono i numeri di una spesa pubblica che aumenta per mantenere questi nullafacenti. 

Poi è toccato ad un movimento popolare entusiasmare la mia settimana. Mi riferisco a quanto è accaduto nel programma di Santoro, la scorsa settimana.
Oltre al fatto che ho deciso di fare il venditore di cavalli, se mi può rendere una casa alla Romanina (come quella della simpatica signora che alla domanda: "Lei risulta nullatenente?" ha risposto: "Che vuol dire nullatenente? Chi è tenente?") mi ha colpito soprattutto l'essere "popolare" del movimento sardo, unito a quello dei "Forconi". Un contadino, un operaio, assieme al piccolo imprenditore, al maestro elementare, al ricercatore precario. Mi ricorda tanto la copertina di un album dei Coldplay, o forse era un quadro sulla Rivoluzione, non ricordo bene.

Ah, e caro Castelli. Prima ti dici povero dichiarando 145.000 euro l'anno (e chissà quanti ne hai evasi), poi rispondi comparando la Lombardia alla Sicilia, facendo vedere quanto (?) il Nord Italia sia meglio del Sud. Ma sai che ti dico io, da Veneto? Tu eri Ministro della Repubblica Italiana. Se questo non ti dice niente allora vai a giocare alla Secessione con i tuoi amichetti, che al Nostro Paese ci pensiamo noi, gente che ci tiene veramente al futuro, perchè a noi "tu non ce li rompi i coglioni!".

Infine, anche a Copenhagen è arrivato l'inverno. Ha iniziato a nevicare, i laghi stanno ghiacciando, la Wondercool Copenhagen è alle porte (una specie di festival che tratta un po' di tutto; se siete curiosi: http://wondercoolcopenhagen.com/) e uscire con gli amici è all'ordine del giorno.
Pensate che sabato ero in un posto chic (?) e mi parte "Che Idea" dei Flaminio Maphia in versione remixata.

I corsi sono iniziati nuovamente, e sarebbe un'ottima idea quella di mettersi sotto a lavorare. La preparazione atletica è ritardata, il dottore mi ha detto di riposare visto che ho il fisico di un ottantenne, racchiuso nel mio corpo ventenne, quindi aspetto per rimettermi in forma, guardando lo sport in tv invece di uscire e correre.

Nel frattempo la Danimarca ha vinto i campionati europei di Pallamano. Quindi fuochi d'artificio e quant'altro, fiumi di birra per le strade, e poi tutti a dormire. Tutti qui sembrano felici. Si sta bene, non lo nego, forse troppo per pensare che a settembre dovrò fare le valigie di nuovo e andarmene a Praga. Inizio ad odiare la mia vita da viaggiatore, non fai tempo ad abituarti che subito devi cambiare. O forse è solo sta maledetta Danimarca, troppo efficiente (c'ho messo 4 minuti alle poste, stamattina) e troppo perfetta da assomigliare ad un sogno.

O forse solo ad un incubo socialista.

Vi ses,

Gianbellan

domenica 22 gennaio 2012

Seduti su uno scoglio, fissando il Mare del Nord

Mi trovavo in camera mia, a sorseggiare tè e twittare, mentre mi è passato un link sullo schermo. Era il monologo che Giacomo Poretti ha tenuto ieri  al convegno della Fondazione Italcementi Carlo Pesenti. L'ho letto d'un fiato, e devo dire che il comico ha messo in risalto questo periodo di decadenza, sottolineando aspramente come, in mezzo secolo, siamo passati dall'essere il Paese dei Sogni, del Boom Economico, a far parte di un continente che sta morendo.

Perché stando all'estero il messaggio che ti arriva, parlando con la gente, confrontando culture diverse, è che l'Europa sta andando verso un declino irreversibile. Il Vecchio Continente sta diventando veramente troppo vecchio ed è sicuro di vedere la pensione (almeno lui).

Però comunque si riesce a trovare la motivazione giusta per decidere di partire e visitarlo, questo Continente, e molto spesso questa motivazione si accompagna alla meritocrazia. Una meritocrazia che non viene premiata in Italia dove, se all'Università viene riconosciuto il proprio lavoro, è solo in modo impersonale, visto che non ha nessun riscontro pratico e nessuna direzione sul campo professionale.

Per questo, dopo 6 mesi di Erasmus a Lisbona, ho deciso di venire a vivere e continuare i miei studi a Copenhagen.  Tanti miei amici mi avevano consigliato di iscrivermi alla Business School qui, dopo la triennale in Economia; amici danesi, amici che erano stati qui, amici che ci avevano azzeccato in pieno. In questa città non si respira l'aria della crisi, le offerte non mancano, e l'occhio è puntato sui giovani, il futuro di questo piccolo paese Scandinavo.

L'ambiente è tipico da Capitale Europea, industrializzata, dove l'architettura fa da padrona, ma la prima cosa che si nota sulle opportunità che ci sono è che qui tutti gli studenti hanno un lavoro. Non c'è nessun studente Danese che ne sia sprovvisto, e sottolinea come l'esperienza venga acquisita più in fretta, in questo paese. Invece di invecchiare durante la gavetta come succede in Italia, qui  si bruciano le tappe, e dopo il Master, a 25-26 anni, sei pronto per ricoprire posizioni importanti.



L'ostacolo principale è la lingua, differente da qualsiasi cosa ascoltata prima, ma con impegno, dedizione e tanta pratica si riesce a formulare qualche frase. Anche se qui l'Inglese è parlato bene da tutti, per lavorare a contatto del cliente, è necessario masticare un po' il Danese.
Diciamo poi che vivere qui ha un costo molto alto, specialmente per quanto riguarda gli affitti. Stringendo la cinghia comunque si arriva a fine mese con un budget inferiore ai 600 euro, affitto incluso. Certo è che se si vuole seguire il ritmo di questa frenetica città, sarebbe necessario avere uno stipendio proprio, visto che i valori di redditi si attestano tra i più alti d'Europa. Secondo gli Scandinavi, la Danimarca è il paese più economico, ecco perché maree di Norvegesi e Svedesi vengono qui a studiare e spendere i loro soldi, per via dei loro redditi ancora più alti, stimolando in questo modo l'economia.

La marcia in più arriva comunque dai servizi al cittadino, che vanno da corsi di lingua gratuiti, educazione gratuita a tutti i livelli, sussidi di disoccupazione e centri di collocamento più che efficienti. Questo e l'architettura unica in Europa rendono la "Città delle Bici" una meta unica per chi desidera dare una svolta alla propria carriera, specialmente scolastica, per mettere in curriculum una prestigiosa Business School, un Master di livello Internazionale e, chi lo sa, magari qualche buon soldino.


E se un giorno la prossima tappa dovrà essere Brasile, India, Australia o Canada, una sola certezza rimarrà. Quella di sedersi su uno scoglio, come la Sirenetta, guardare verso il mare infinito, e sapere, che li da qualche parte c'è ancora la nostra Patria, Italia, meta finale del nostro viaggio, luogo in cui il Sogno non può morire.

domenica 8 gennaio 2012

Ottimismo nel paese delle favole

La prima settimana del 2012 se l'è filata in velocità, e tutto qui è continuato alla normalità. La crisi non è finita, i Maya non hanno spostato la data perché il 21 dicembre ho un calcetto, Twitter è pervasa di reduci di Netlog che intasano i TT con Bieber e soci.

E dal passare le giornate tra libri, articoli, saggi, video, nel tentativo di capire come fare bene ai prossimi esami (nel tempo libero studio), sembra che le cose in questo 2012 inizino ad ingranare. Aiuta il fatto che questa città sembra uscita da un libro di favole, e per citare il film "In Bruges", come si fa a non innamorarsi di una cazzo di città che sembra uscita da un libro di favole?

La tranquillità, l'aria pulita che si respira qui, non si trova. Non perché i sondaggi dicono che qui l'aria è la più pulita al mondo, i bambini giocano nei parchi, il centro diventa teatro dei saldi di giorno e palcoscenico della vita notturna di notte. Ma perché è un posto che da speranza, non mette pressione, e con calma e pazienza permette a tutti di avere quello che si meritano.

Forse è presto per parlare, ma alla fine qui si trova una cosa che al momento in Italia non si riesce a trovare. Ottimismo. Ottimismo che nel nostro paese non c'è e non viene accolto. Capisco che il momento è veramente difficile, ma ci troviamo dentro fino al collo perché c'è stato permesso da quelli al potere di essere quello che siamo, Italiani. 

Mentre negli anni del boom economico la direzione dell'alto era perentoria, si è sempre più col tempo affievolita, e i governi successivi, con B. al capolinea, chiedevano agli Italiani, invece di sacrifici e comportamenti determinati, di essere semplicemente se stessi. Ci hanno lasciato giocare, invece di essere indirizzati verso il futuro, ci hanno parcheggiati, e lasciato in macchina mentre loro facevano pausa al ristorante.

Ora, l'esecutivo chiede sacrifici ad un popolo disabituato a farne, in un Paese dove il differenziale ricchi-poveri è uno dei più ampi nel mondo civilizzato, e dove il popolo ignorante (in aggiunta a tutti i Leghisti) si oppone a chi sta facendo quello che non è stato fatto negli ultimi vent'anni. Ecco perché non siamo ottimisti. Perché non siamo capaci di esserlo.

Mentre nei paesi che escono dai libri delle favole, l'ottimismo non è forzato dai coniglietti che cantano, dagli arcobaleni e dalle farfalle (anche perché qui o piove o è buio), ma l'ottimismo arriva dall'esperienza che fai della vita in queste città. Ed è una cosa che dobbiamo recuperare anche noi Italiani.

Anche perché Andersen amava l'Italia, e se ha scritto favole così realistiche è perché l'ha visitata.

Vi ses,

Gianbellan

domenica 1 gennaio 2012

Happy New Year, Mrs. J.

E anche questo primo dell'anno è andato, e nonostante mi sia perso metà della serata di ieri per ovvie ragioni, oggi non ho fatto altro che sorridere, cantare, essere felice.

La gente con cui ho passato questo Capodanno è veramente speciale. Un italiano, uno svedese, un tedesco, un austriaco, un messicano, un canadese, una francese e due britannici, una specie di melting pot che ha reso diverso questo inizio dell'ultimo anno prima del cambiamento di un'era, secondo i Maya.

Tuttavia passeggiare per Copenhagen oggi, città fantasma, mi ha fatto pensare, ed ho realizzato che l'avventura che sto vivendo è qualcosa di unico, e tutto ciò è reso unico dalle persone che sono con me, dagli incontri, dalle amicizie e dai rapporti che nascono tra sconosciuti.

Questa volta è stato merito di una ragazza britannica, amica di Martin, che chiamerò Mrs. J, citando Billy Paul. Mrs. J è una di quelle ragazze di cui non ti puoi non innamorare istantaneamente: corpo perfetto, non troppo magra, capelli castano chiaro, occhi azzurri, bocca da baciare. Il suo accento British, i suoi discorsi, il modo che ha di sorridere ha iniziato a farmi vedere le cose in maniera differente. Alla fine ho realizzato che era quello che serviva:

Non devo correre alla ricerca disperata di una ragazza solo per dimenticare brutte relazioni o perchè ci si vuole togliere uno sfizio, ma quello che voglio è essere così, di buon umore, voglio essere confuso per una ragazza, diventare un completo idiota di fronte a tutti per lei, e sentirmi come se fossi la persona più felice del mondo.


Perciò, anche se alla fine non ho combinato niente (e non per colpa mia perlomeno), ho ripreso fiducia, e ho saputo, parlandoci poco dopo stasera, che ero riuscito a rimorchiarla pur conoscendola da 5 ore. Perchè ho ancora il tocco magico, e diciamolo, noi italiani ci facciamo onore in questo campo.

Per concludere, vorrei solo che questo 2012 possa continuare come è iniziato, come un'avventura per riscoprire me stesso prima, e per trovare la ragazza con cui essere confuso.

 So, thank you Mrs. J, and Happy New Year!
Gianbellan

P.S. Nella mia checklist di buoni propositi per il 2012 ho inserito: andare a Londra, avere un appuntamento con una ragazza britannica, nella speranza che sia Mrs. J. 

Lisboa

Lisboa
The city which took my heart

Copenhagen

Copenhagen
Lovely capital of Denmark, the city where I use to live