domenica 8 gennaio 2012

Ottimismo nel paese delle favole

La prima settimana del 2012 se l'è filata in velocità, e tutto qui è continuato alla normalità. La crisi non è finita, i Maya non hanno spostato la data perché il 21 dicembre ho un calcetto, Twitter è pervasa di reduci di Netlog che intasano i TT con Bieber e soci.

E dal passare le giornate tra libri, articoli, saggi, video, nel tentativo di capire come fare bene ai prossimi esami (nel tempo libero studio), sembra che le cose in questo 2012 inizino ad ingranare. Aiuta il fatto che questa città sembra uscita da un libro di favole, e per citare il film "In Bruges", come si fa a non innamorarsi di una cazzo di città che sembra uscita da un libro di favole?

La tranquillità, l'aria pulita che si respira qui, non si trova. Non perché i sondaggi dicono che qui l'aria è la più pulita al mondo, i bambini giocano nei parchi, il centro diventa teatro dei saldi di giorno e palcoscenico della vita notturna di notte. Ma perché è un posto che da speranza, non mette pressione, e con calma e pazienza permette a tutti di avere quello che si meritano.

Forse è presto per parlare, ma alla fine qui si trova una cosa che al momento in Italia non si riesce a trovare. Ottimismo. Ottimismo che nel nostro paese non c'è e non viene accolto. Capisco che il momento è veramente difficile, ma ci troviamo dentro fino al collo perché c'è stato permesso da quelli al potere di essere quello che siamo, Italiani. 

Mentre negli anni del boom economico la direzione dell'alto era perentoria, si è sempre più col tempo affievolita, e i governi successivi, con B. al capolinea, chiedevano agli Italiani, invece di sacrifici e comportamenti determinati, di essere semplicemente se stessi. Ci hanno lasciato giocare, invece di essere indirizzati verso il futuro, ci hanno parcheggiati, e lasciato in macchina mentre loro facevano pausa al ristorante.

Ora, l'esecutivo chiede sacrifici ad un popolo disabituato a farne, in un Paese dove il differenziale ricchi-poveri è uno dei più ampi nel mondo civilizzato, e dove il popolo ignorante (in aggiunta a tutti i Leghisti) si oppone a chi sta facendo quello che non è stato fatto negli ultimi vent'anni. Ecco perché non siamo ottimisti. Perché non siamo capaci di esserlo.

Mentre nei paesi che escono dai libri delle favole, l'ottimismo non è forzato dai coniglietti che cantano, dagli arcobaleni e dalle farfalle (anche perché qui o piove o è buio), ma l'ottimismo arriva dall'esperienza che fai della vita in queste città. Ed è una cosa che dobbiamo recuperare anche noi Italiani.

Anche perché Andersen amava l'Italia, e se ha scritto favole così realistiche è perché l'ha visitata.

Vi ses,

Gianbellan

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Lisboa

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Copenhagen

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